Il volo prima dei Montgolfier

IL VOLO PRIMA DEI MONTGOLFIER

Chi fu il primo uomo a volare?

Se chiediamo quando si verificò il primo volo umano, la stragrande maggioranza delle persone ci risponderà che il primo volo fu quello dei fratelli Montgolfier a Parigi. Non è esattissima la risposta  perché molti pensano che furono gli stessi fratelli a volare, cosa che invece non accadde mai perché volarono per primi Pilâtre de Rozier e il marchese d’Arlandes, e il solo Etienne Montgolfier volò “per sbaglio” qualche mese dopo, in quanto il padre aveva loro vietato di salire su quelle macchine così…pericolose! Qualche “esperto” magari sarà più preciso nella risposta e indicherà anche l’anno dello storico evento parigino, il 1783. Ma siamo sicuri che fu veramente la prima volta che l’uomo riuscì a librarsi in volo?

Torniamo indietro nel tempo...

Se i dati strettamente storici ci dicono così, in realtà molti indizi ci fanno pensare diversamente. Cerchiamo di fare una revisione a ritroso nel tempo, citando gli avvenimenti veri o presunti del passato. Già prima dei Montgolfier, molti studiosi si cimentarono nella progettazione di voli, utilizzando a volte macchine  del tutto improbabili, altre volte utilizzando palloni o simili dispositivi basati sul più leggero dell’aria. Citiamo il diacono russo Kria Kutnoi, che nel 1731 avrebbe effettuato un volo nella città di Riazan (190 km a sud di Mosca)  grazie ad un pallone ad aria calda di sua invenzione. Le poste sovietiche nel 1956 emisero un francobollo a ricordo del 225° anniversario dell’impresa. E’ mai esistito questo volo e anche il personaggio? Non abbiamo notizie storiche, una gazzetta locale, un disegno, una cronaca sul diario di un contemporaneo. Nulla. Si dice solo che il buon Kria dovette fuggire dalla cittadina perché accusato di stregoneria!

Eppure anche alcuni decenni prima, nel 1709, a Lisbona il sacerdote Bartolomeo Laurenço de Gusmâo avrebbe volato a bordo di una “nave aerea”, detta da lui stesso “passarola”, quindi colombella “salendo fino all’altezza della torre di Belem”. Anche il cardinale Michelangelo Conti, che sarebbe diventato papa Innocenzo XIII, nel 1721 cita l’episodio in qualità di testimone oculare diretto e negli archivi vaticani è conservato un disegno della passarola, del quale non si conosce l’autore (forse lo stesso Conti?). I portoghesi citano de Gusmâo come “o vôador” e il re Joâo V gli conferì un “Alvarà”, una specie di consistente pensione o vitalizio per la sua impresa. Successivamente però Gusmâo fu messo di fatto a tacere dai seguaci del tribunale dell’Inquisizione, che ritenevano fosse un’offesa a Dio il tentativo di volare (citiamo in proposito anche il testo del 1753 del marchese Clemente Baroni Cavalcabò “L’impotenza del demonio di trasportare per l’aria da un luogo all’altro i corpi umani”, nel quale l’autore spiega come sia impossibile per l’uomo volare, tanto che il semplice tentativo dovrebbe essere considerato come una bestemmia!).

Andiamo ancora più indietro...

Se andiamo ancora più indietro nel tempo, Pierjacopo Martello (1665-1727) si dice che agli inizi del 1700, forse anche prima, avesse fabbricato una “nave volante” con la quale avrebbe sorvolato il lago Trasimeno.  Martello nel 1710 pubblicò la propria opera “Versi e prose” nella quale ridicolizzava i tentativi di volo, che quindi già all’epoca venivano effettuati. Per rimanere sempre nella regione umbra, l’alchimista perugino Giovanni Battista Dante (1478-1517), in realtà di cognome Rainaldi, ma talmente ammirato del grande poeta dal modificare il proprio cognome, avrebbe sorvolato più volte il lago, realizzando una “macchina” per conto del generale veneziano Bartolomeo d’Alviano (1455-1515).

Il Dante pare si sia gettato con una specie di proto-deltaplano a Perugia da una torre “sopra la piazza grande”, planando per “300 passi”, quando un’ala del mezzo di spezzò e il malcapitato cadde sul tetto di una casa, fratturandosi una gamba. Stessa sorte capitata probabilmente al lucchese Paolo Guidotti (1569-1629) che nel 1628 che sempre munendosi di una specie di ala, “si lanciò da un luogo eminente di Lucca, e si portò avanti per un quarto di miglio, ma non potendo più quelle ali sostenerlo, lo lasciaron cadere sopra un tetto, donde sprofondò in una stanza e vi guadagnò una rottura di coscia”.

Arriviamo al grande Leonardo da Vinci (1452-1519) che secondo il Cellini, camminando sulle rive del Tevere, nell’anno trascorso a Roma (1513) “gonfiava con il fiato certe sottilissime vesciche animali e le faceva volare”. Forse il grande genio aveva intuito le proprietà dell’aria calda? Possiamo ipotizzare quindi che Leonardo, studiando il volo degli uccelli, abbia ideato anche qualche macchina volante? Domande che sono destinate a rimanere senza risposta, ma che qualche dubbio insinuano.

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L’analisi delle tradizioni più antiche

Più di un dubbio nasce all’analisi delle tradizioni più antiche, come quelle che leggiamo in testi come il Popol vuh dei Maya, o ancora più anticamente , nei sacri testi indiani del Samarangananasutradhara o del Gatotrachabadma (i nomi sono quasi impronunciabili!) che in tempi addirittura anteriori a Cristo parlano di astronavi che viaggiavano tra il Sole e i Pianeti o di “metallici cavalli del cielo” del re Satrugit o il “cocchio dell’aria” del re Pururavas. Per tornare ancora ai popoli precolombiani centro e sudamericani, nella famosa piramide di Palenque, in Guatemala, un’enorme lastra di roccia attorno alla quale la piramide stessa venne edificata, a testimoniare l’importanza del personaggio e della scena raffigurata, reca l’incisione di un “astronauta” con tanto di respiratore, ai comandi di un’astronave.

In Nuova Zelanda i nativi Maori parlano di persone che salgono nell’aria grazie al fumo, mentre nelle Isole Caroline le leggende parlano di un uomo-dio che saliva in cielo “accendendo un grande fuoco”.

Anche l’arte medioevale pittorica quattrocentesca ci mostra diverse opere nelle quali appaiono mezzi volanti, come nel caso della Madonna con Bambino di Filippino Lippi o nell’Annunciazione di Carlo Crivelli.

Si potrebbero citare ancora numerose opere antiche e altrettante numerose tradizioni che contemplano l’uso di palloni ad aria calda o di vari dispositivi per volare, l’elenco sarebbe lughissimo, tanto che lo storico dell’aviazione Jules Duhem scrisse nel 1943 un saggio dal titolo “Il volo prima dei Montgolfier” (titolo originale “Musée aéronautique avant Montgolfier”), quindi le descrizioni potrebbero estendersi notevolmente. Anche l’illustre padre Giuseppe Boffito (1869-1944), forse il maggior esperto italiano di storia dell’aeronautica, dedica agli antichi precursori una lunghissima introduzione alla sua monumentale opera Biblioteca Aeronautica Italiana Illustrata. Sarebbe facile continuare nelle descrizioni e nelle ipotesi, ricordando come in Cina, in Thailandia e in altri Paesi orientali, sia uso comune quello delle lanterne volanti. Tuttavia, per finire, ci piace ricordare anche il caso delle linee di Nazca.

in Mongolfiera si vola anche d'inverno
un gruppo di amici al termine di un volo in mongolfiera
Le linee di Nazca

Le linee di Nazca, in Perù, risalgono ad epoche che vanno da 2800 a 1400 anni or sono e si sviluppano, seguendo uno schema ben preciso, per moltissimi chilometri. Gli studiosi da molto tempo si domandano come abbiano potuto dei popoli primitivi riuscire a realizzare dei disegni che ancor oggi sarebbero problematici per i moderni tecnici. In particolare, si ipotizza che fosse impossibile realizzarli senza disporre di adeguati mezzi di sorveglianza aerea. L’archeologa Maria Reiche (1903-1998), dopo aver dedicato l’intera sua lunga vita allo studio delle linee, scoprì molti indizi relativi all’utilizzo di palloni ad aria calda da osservazione vincolati, in grado di raggiungere quote di centinaia di metri e di rimanere a lungo sospesi al fine di fornire le indicazioni necessarie alle squadre di terra.

Il pilota inglese Julian Nott, con la consulenza di Morris Crane, detto “Doc”, famoso fabbricante di “palloni a fumo”, riuscì a innalzarsi in compagnia di Tim Woodman fino a 570 metri di quota grazie a un pallone, denominato “Condor I”, realizzato con materiali e con tecniche che potevano essere sicuramente a disposizione degli antichi abitatori della zona. Per la fabbricazione Nott utilizzò canne di totora, la leggerissima canna palustre del lago Titicaca, pelli di lama e legna da ardere e riuscì a rimanere in volo per 20 minuti, atterrando senza danni. L’esperimento fu effettuato nel 1975 e Nott lo descrisse anche in un libro. Questa esperienza non ha un valore storico, tuttavia ci dimostra come la nostra conoscenza sia molto limitata, soprattutto per quando riguarda popolazioni, come quelle sudamericane, che non conoscevano la scrittura. D’altro canto, nei musei di arte precolombiana di Lima e di Bogotà sono conservate numerose terracotte risalenti a 2000 anni or sono, sulle quali sono disegnati dei tetraedri volanti, chiaramente proto-mongolfiere.

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